Non voglio che l'AI mi divori


L’essere umano è a mio parere l’animale più versatile del pianeta; ci adattiamo a cambiamenti a cui sembrerebbe impossibile abituarsi, e lo facciamo in tempi rapidissimi.

Ma se esistessero situazioni in cui proprio questa capacità ci rende vulnerabili?

Nota: questo testo contiene semplificazioni estreme. La sequenza di eventi narrata è pensata per trasmettere il senso di ciò che sto dicendo e non ha la presuzione di essere storicamente accurata.

La delega.

Esistere è complicato.

La natura è, più che una «madre amorevole», una «fottuta puttana» (cit. Slavoj Žižek) che cerca di ucciderci ad ogni occasione le si presenti (tra l’altro riuscendoci sempre, almeno dal punto di vista del singolo individuo).

Per questo motivo, sin dall’inizio della civiltà, abbiamo cercato di separare il nostro mondo da quello puramente naturale, costruendo un’interfaccia di mezzo che permettesse di diminuire il numero di sofferenze necessarie alla continuazione dell’esistenza.


Nessuno ama faticare.

Dal punto di vista dello sforzo fisico, abbiamo gradualmente delegato azioni prima faticosamente svolte “manualmente”, a strumenti e tecnologie da noi costruiti.

Ecco di seguito degli esempi stupidi e semplificati per far capire cosa intendo.

1. Che grande idea quella dei sumeri di 7000 anni fa di costruire dei canali di irrigazione che portassero “automaticamente” l’acqua ai campi invece di trasportare secchi d’acqua a mano!

2. E se prendessimo una pietra circolare, facessimo un buco in mezzo e ci piantassimo dentro un asse orizzontale connesso a un contenitore dentro cui trasportare degli oggetti pesanti? Oh ma guarda, quello è un carro!

3. Facciamo che invece che spingere il carro da soli lo rendiamo trainabile da animali fisicamente più prestanti di noi? Oppure aspetta, ho un’altra idea… e se ci montassimo sopra una scatola magica a combustione che muove le ruote da sola? Troppo comodo!

Il risultato è che abbiamo smesso di far cose che non amavamo fare ed espanso le nostre possibilità (in termini di tempo disponibile e capacità) in attività mentali e fisiche che ci risultano piacevoli da svolgere.

Proseguendo su questa strada, ambivamo a costruire dei corpi che potessero ulteriormente liberarci da compiti ardui come lavorare in miniera o nelle fogne, ma la costruzione di un corpo si sarebbe rivelata inutile senza un cervello artificiale capace di controllarlo. Per questo ci siamo concentrati sullo sviluppo di quest’ultimo elemento.


Pensare è una piacevole fatica.

Una delle attività che da sempre rientra nella pre-citata categoria delle « piacevoli da svolgere » è quella di pensare.

Fino a pochi anni fa avevamo delegato a strumenti terzi soltanto funzioni minori dell’ambito del ragionamento matematico, logico e artistico, liberandoci dalle operazioni banali e rendendoci liberi di pensare, scoprire e sperimentare in zone più stimolanti e creative dell’ignoto.

  • Memorizzare tutta la conoscenza umana dall’inizio della civiltà? Impossibile: scriviamo.
  • Calcolare a mente? Lento, scomodo e noioso: usiamo la calcolatrice.
  • Svolgere compiti ripetitivi e descrivibili tramite un algoritmo? Alientante: implementiamoli in un computer.

Qualche anno fa è però accaduto qualcosa che ha modificato questo processo: mentre cercavamo di donare un cervello artificiale alle macchine schiave che avrebbero dovuto liberarci dalle fatiche della condizione umana, ci siamo accorti di aver creato una tecnologia in grado di affrancarci non dal lavoro ripetitivo e noioso, ma da quello creativo. Abbiamo creato una tecnologia che ci libera da ciò che reputavamo essere la firma del nostro “essere umani”.

Ci siamo abituati a tutto ciò in un tempo incredibilmente breve, proprio come abbiamo sempre fatto con i grandi cambiamenti (fino a 3 anni fa era impensabile chiacchierare con una scatola magica in grado di dialogare come un essere umano, altro che test di Turing).

QUESTO E’ UN PROBLEMA. Per capire il perché, prova a rispondere a queste domande: quanti di noi sono ancora in grado di cacciare nella foresta come i nostri antenati? Chi ricorda tante poesie come quelle imparate a memoria dai nostri nonni? Chi è capace di calcolare a mente velocemente come i nostri genitori?

C’è infatti un piccolo effetto collaterale nel processo di ricerca della comodità: tutto ciò che deleghi, lo perdi.

E’ necessario selezionare con cura le attività da delegare agli strumenti che stiamo creando.

E' necessario scegliere con cura cosa vogliamo smettere di saper fare.


Quando usare le AI generative?

Credo che questa sia una domanda a cui ognuno dovrebbe rispondere in base ai propri valori e priorità. Personalmente, considero le AI generative uno strumento formidabile per certi task, una condanna per altri.

Usare un chatbot per ordinare il proprio codice, fare debugging, ottenere una spiegazione del punto della dimostrazione che si stava cercando di capire da un’ora ecc. consiste nel proseguire quella ricerca di “sollievo dal fardello della condizione umana attraverso strumenti artificiali” già citata nelle precedenti sezioni.

Usare lo stesso chatbot come protesi mentale per scrivere pareri non propri annichilendo la propria capacità di immaginazione, o delegare ad esso la parte creativa e di progettazione riservando a se stessi la parte meccanica e algortmica del lavoro, è invece l’opposto del processo costruttivo iniziato dai nostri antenati. In questo caso, l’uomo diventa la macchina e la macchina l’elemento creativo.

Vorrei per quanto possibile non trovarmi nel secondo caso. In funzione di ciò, su questo blog non inserirò una singola parola AI-generated (e quando possibile, le immagini di copertina degli articoli me le disegno io, perché scarabocchiare è un’altra delle attività piacevoli che non voglio smettere di saper fare).


Angelo Antona, 8 AGOSTO 2025